Pressbook ROF 2015

La scelta del Rof di dedicare l’intera programmazione del Festival 2015 alla produzione giocosa di Rossini, declinata nelle composite derivazioni dell’opera semiseria (Gazza ladra e Inganno felice) o della commedia di carattere che trascolora nell’astrazione del comique absolu (Gazzetta), è stata inconsciamente dettata dall’esigenza di introdurre un sorriso d’ottimismo nel malinconico grigiore di un panorama culturale mortificato dall’insipienza di chi si ostina a disconoscere la forza propulsiva della ricerca poetica.

Un ritrovamento di rilevante importanza ha condizionato il nuovo allestimento della Gazzetta, accantonando il precedente firmato da Dario Fo che pur aveva raccolto entusiastiche accoglienze. Da un archivio palermitano è riemerso l’autografo di un corposo Quintetto, essenziale per dar senso compiuto a una storia intricata e fantasiosa che si allontana dal realismo comico del goldoniano assunto iniziale per addentrarsi nei labirinti di una festosa follia. I discorsi e gli accadimenti che si susseguono nelle pagine di quel Quintetto sono indispensabili per dar senso compiuto al procedere dell’azione, talché nel precedente allestimento pesarese si era reso necessario inserire nel corso di un recitativo secco un brano musicale spurio, libera rielaborazione di un Péché de vieillesse, in cui veniva riassunto e recitato il testo letterario delle pagine perdute, desunto dal libretto stampato per la prima rappresentazione dell’opera a Napoli nel 1816. Di questo Quintetto non era rimasta traccia musicale, fatto talmente inusuale da indurre Philip Gossett, curatore dell’edizione critica per la Fondazione Rossini, a pubblicare egualmente la mutilata partitura dell’opera nonostante la sua problematica utilizzazione teatrale. Nell’apparato critico che l’accompagna, Gossett giustifica l’azzardata decisione asserendo che la totale assenza di testimoni musicali non consentiva speranza che il Quintetto potesse venir recuperato, giungendo perfino a mettere in dubbio che il pezzo fosse stato davvero composto ex novo da Rossini, piuttosto che derivato da sue pagine preesistenti. In effetti, dopo una pregevole sezione di nuova composizione, nel ritrovato quintetto compare, divertente sorpresa, la folgorante Stretta del Finale Primo del Barbiere di Siviglia “Mi par d’esser con la testa in un’orrida fucina”, rivisitata con originali e rilevanti modificazioni indotte dal mutato testo poetico. Così arricchito, l’ascolto della Gazzetta più che mai risulta un inno alla bellezza femminile, pronubo di un amore alimentato da un gioioso e naturalistico erotismo. Il regista Marco Carniti, alla sua prima esperienza pesarese, conterà su un cast omogeneo di giovani interpreti di qualità, alcuni forgiati nella fucina dell’Accademia Rossiniana, agli ordini di Enrique Mazzola, direttore e concertatore di provata fede belcantistica.

Allestire La gazza ladra significa affrontare la sfida di conciliare una storia di modesto afflato, agita da personaggi di profana caratura, con l’imponenza di una cattedrale musicale di ciclopiche dimensioni, investita da cima a fondo da un’ispirazione eccelsa che la colloca fra i maggiori raggiungimenti di Rossini (tale la considerava egli stesso citandola in più di un documento pervenutoci). Si aggiunga che tutti i ruoli vocali dell’opera affrontano difficoltà estreme in generi che vanno dal buffo al larmoyant, dal patetico al tragico. In quest’opera emblematica i confini che concettualmente separano il riso dal pianto, la felicità dal disinganno, la conquista dalla perdizione appaiono tanto sfumati da scomparire; sentimenti ed emozioni trascolorano dall’una all’altra categoria senza che una volontà umana o un deus ex machinaceleste ne giustifichino il trapasso. I soggetti della storia, proprio perché personaggi di elementare quotidianità, agiscono l’insensato divenire dell’esistenza con una rilevanza difficile da cogliere con altrettanta chiarezza nelle grandi figure del teatro aulico. La gazza ladra viene ripresa nella messa in scena ideata da Damiano Michieletto, tanto apprezzata da meritare un Premio Abbiati della critica italiana per il miglior spettacolo dell’anno. Michieletto trasferisce le fatidiche azioni assegnate alla gazza a una fanciulla che nel dipanarsi della vicenda sogna di sostituirsi a lei, aggiungendo alla cadenza prosaica della cronaca il respiro alto dell’immaginazione poetica. Anche qui interpreti giovani per conferire piglio moderno ai comportamenti atemporali di un mondo popolare oppresso dalla violenza, guidati da un direttore d’orchestra, Donato Renzetti, anche impareggiabile educatore.

Come nella Gazza ladra, L’inganno felice concepito da Graham Vick travalica i limiti di un’esile trama, fra le meno credibili della letteratura librettistica indirizzata alle farse semiserie, per risplendere in un paesaggio immaginifico che propizia un’atmosfera di favolistico distanziamento, dove virtù e onestà arrivano, come nei racconti consolatori della nonna, a sconfiggere la malasorte e a punire il cattivo di turno. Ancora un cast che mescola artisti affermati e rivelazioni di pregio: il direttore d’orchestra Denis Vlasenko proviene dall’Accademia Rossiniana, come la protagonista femminile, Mariangela Sicilia, dominatrice dell’ultimo concorso Operalia, e tutti gli altri componenti del brillantissimo cast.

Il Rof ha potuto contare su un manipolo di interpreti prestigiosi guidati da Roberto Abbado (Pratt, Yarovaya, Flórez, Palazzi, Rivera) per riproporre la poco frequentata Messa di Gloria composta da Rossini nel pieno della sua attività creativa: sarà l’occasione giusta per ripensare questa pagina elusiva, considerata da taluni gioiello di siderale bellezza e da altri soltanto l’attestazione del sublime mestiere di un genio distratto. A tal fine gioverà l’accostamento immediato con lo Stabat Mater, giustamente ritenuto, insieme alla Petite messe solennelle, un caposaldo della produzione sacra d’ogni tempo. Anche per lo Stabatinterpreti noti al pubblico del Rof, al comando del beniamino Michele Mariotti; fra loro un debutto a lungo auspicato: quello di Yolanda Auyanet, artista di intensa e severa personalità. Un curioso preambolo allo Stabat Mater ritrasmesso in piazza a chiusura del Festival sarà una sua trascrizione per soli fiati firmata da un noto compositore dell’epoca, Johann Anton André, che verrà eseguita nello stesso pomeriggio dai solisti dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini nella cornice della Rossinimania, la stessa che ospiterà l’arpa di Paola Perrucci per un raffinato programma di trascrizioni d’epoca accostate a parodie rossiniane di importanti autori contemporanei. A Olga Peretyatko, Chiara Amarù e Nicola Alaimo sono stati assegnati i tradizionali recital vocali. Col settimo appuntamento giunge quest’anno a conclusione l’ambizioso progetto – a cura dell’Ente Concerti di Pesaro e dell’Accademia Musicale Napoletana, in collaborazione con il Rossini Opera Festival e la Fondazione Rossini – di presentare l’intero corpus dei Péchés de vieillesse, il criptico testamento musicale vergato da Rossini negli anni della sua rinuncia a comporre per il teatro. Bruno Canino, Alessandro Marangoni e Gabriele Pieranunzi ne cureranno l’ultima sessione, coadiuvati per l’impegnativa parte vocale dagli allievi dell’Accademia Rossiniana.

Il consueto appuntamento del Viaggio a Reims, interpretato dai giovani dell’Accademia Rossiniana, proverà ancora una volta quanto vada alzandosi il livello tecnico e interpretativo di chi si cimenta col repertorio belcantistico, in tempi non lontani ritenuto appannaggio di privilegiati specialisti. Le domande di partecipazione alle audizioni selettive, provenienti dai cinque continenti, sono state 267: 175 i candidati esaminati in otto giorni di intensissimi ascolti al Teatro Rossini e in sala di registrazione. Il compito di chi deve compiere le scelte finali è diventato drammatico, perché oltre a riguardare l’aspetto tecnico professionale, sconfina in decisioni che affettano delicate pieghe della coscienza. Non si tratta di selezionare fra idonei e non idonei: oggi molte scelte devono avvenire fra elementi egualmente dotati, più che abilitati al compito. A parità di merito contano, oltre la bravura, la tipologia della voce e la personalità interpretativa in relazione al presunto ruolo da ricoprire nello spettacolo di fine corso, in ordine ai possibili equilibri dell’ipotetico cast emerso nel corso delle prove di selezione. Cantare oggi al Rossini Opera Festival ruoli emblematici come quelli pretesi dal Viaggio a Reims significa per i migliori accorciare il tempo dell’attesa e aumentare le probabilità di accelerare una difficile carriera. A chi, costretto da un rigido numero chiuso d’ammissioni, deve respingere la legittima richiesta d’aiuto di giovani artisti seri e preparati, tocca l’ingrata responsabilità di smorzare le speranze di persone che, essendo brave, talune bravissime, difficilmente sapranno spiegarsi le ragioni dell’esclusione.

Come sempre la splendida Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il suo versatile Coro istruito da Andrea Faidutti, alternantisi alle marchigiane Orchestra Sinfonica G. Rossini e Filarmonica Gioachino Rossini, testimoni della fertile vocazione musicale della città di Pesaro, assicureranno qualità alla manifestazione.

   Alberto Zedda, direttore del ROF

© Zedda-Vázquez