Pressbook ROF 2013

Mettere in scena il Guillaume Tell è sempre stato compito arduo; farlo oggi, e al Rossini Opera Festival, diventa problematico. L’opera richiede un’orchestra di grande caratura: per l’organico magno e per l’importanza di sinfonie, balli, tempeste, introduzioni strumentali, accompagnamenti vocali di inusitata tensione e amplitudine. Basti pensare alle battute iniziali della Sinfonia, affidate ai soli violoncelli: abissale meditazione sulla vita e la morte che cela il segreto del prossimo, tragico silenzio del compositore. Pretende ancora un coro numeroso e possente, non più chiamato a scandire pagine omofonico-omoritmiche, ma guidato da una polifonia luminosa e coloratissima ad assumere il ruolo palpitante di popolo che vive, soffre, gioisce, subisce, insorge, conquista dignità e libertà, quest’ultima salutata con tale esultanza da siglare uno dei più emozionanti finali d’opera mai concepiti. Soprattutto esige una compagnia di canto in grado di definire una cifra coerente in un discorso drammatico aperto a interpretazioni molteplici, anche contrastanti. Il Guillaume Tell può concludere la stagione del proto-romanticismo poetico dello Sturm und Drango prefigurare gl’impeti del romanticismo eroico e passionale che infiammerà i nazionalismi libertari. Ma il romanticismo di Rossini non nasce con quest’opera: nell’Otello, nella Donna del lago, nel Maometto II, perfino nel giovanile Tancredi gli attori del dramma respirano la malìa di una natura immanente, che nel Guillaume Tell si fa partecipe delle vicende umane. La scelta dei protagonisti, segnatamente quella di Arnold, è risorsa per premiare l’una o l’altra tesi. Rossini ha indicato con chiarezza la sua preferenza, quando all’esordio parigino ha lodato la prestazione di Adolphe Nourrit, tenore di estrazione belcantistica che, come di regola, ricorreva all’uso del falsettone per risolvere i passaggi acuti, e ha invece duramente bollato quella di Gilbert-Louis Duprez che, con sommo gaudio del pubblico, aveva applicato l’emissione di petto anche ai crudeli sovracuti della parte. Altrettanta chiarezza non si ravvisa però all’analisi del dettato musicale: Arnold, che nei pezzi d’insieme deve confrontarsi con le robuste voci del basso e del soprano caricate da grande tensione drammatica, è sicuramente ruolo pensato per un bari-tenore d’importanza, ma la sua parte, che indugia nella zona del passaggio superiore e si spinge alle note estreme della tessitura, sembra in più occasioni idonea all’agile tenore contraltino che amoreggia nell’Italiana in Algeri, Cenerentola, Gazza ladra, piuttosto che all’intrepido guerriero che dovrà guidare la rivolta vittoriosa. Pochi sono stati gli autentici bari-tenori capaci di rispondere adeguatamente alle richieste del ruolo (Chris Merritt, Gregory Kunde della maturità): poiché oggigiorno al vocalista non è dato ricorrere all’artificialità del falsettone, il dilemma si sposta fra l’elezione di un tenore eroico di estrazione tardoromantica (prototipo Giacomo Lauri Volpi), al quale però è utopico chiedere di cantare il ruolo senza tagli devastanti, e un tenore rossiniano equilibrato nei registri, dotato di squillo autorevole e padrone di chiaroscuri che inteneriscano l’amore per Mathilde e inaspriscano lo sdegno per il tiranno. Sono queste preziosità che fanno di Juan Diego Flórez il più apprezzato belcantista del nostro tempo e conferiscono il rango di evento eccezionale al suo debutto nel ruolo di Arnold, nella cornice del Rossini Opera Festival. La presenza di Flórez ha condizionato la scelta degli altri protagonisti. La voce e la figura di Nicola Alaimo, Guillaume, incarnano benissimo un eroe senza medaglie, padre prima che capopopolo, in lotta per assicurare alla sua gente il diritto di vivere secondo le proprie ragioni e le proprie credenze, non per difendere interessi dinastici o inseguire illusorie ideologie. La Mathilde di Marina Rebeka possiede la nobiltà necessaria per attenuare l’inconsistenza di un amore impossibile; il ruolo di Walther è stato affidato alla voce morbida e rotonda di Simon Orfila per favorire gli equilibri vocali con Arnold e Mathilde. All’inizio dell’opera, il canto stratosferico e terribilmente scoperto del pescatore Roudi trova in Celso Albelo, tenore fra i più quotati, un interprete prestigioso. Un debutto d’interesse sarà l’Hedwige di Veronica Simeoni, giovane mezzosoprano già distintasi in ruoli di mitica complessità. Gli altri ruoli, tutti di rilievo, saranno rivestiti da Amanda Forsythe, Simone Alberghini, Baurzhan Anderzhanov, Alessandro Luciano, Luca Tittoto.

L’impostazione classicamente rossiniana della compagnia di canto a disposizione ha influenzato la regia di Graham Vick (trionfatore del Mosè in Egitto) e la scenografia di Paul Brown, che puntano su uno spettacolo concettualmente severo, fedele alle didascalie del libretto anche se riferite a vicende e luoghi diversi da quelli immaginati da Rossini. L’opera ritroverà l’umana quotidianità di gente fiera e pacifica opposta all’arroganza di un potere prepotente e senz’anima, simile al finanzcapitalismo che oggi priva tanti giovani della libertà di sperare. Scompare ogni traccia di magniloquenza da grand opéra, così lontana dall’intima spiritualità della musica di Rossini, sostituita da simboli che traducono la realtà in immagini ideali di poesia.

Dopo gli esiti impressionati del Sigismondo del 2010 e della Matilde di Shabrandel 2012, il concertatore di questo ambizioso Guillaume Tell non poteva essere altri che Michele Mariotti, il direttore pesarese che sta inanellando successi. Mariotti potrà giovarsi del Coro e dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, compagine quest’ultima che nel repertorio rossiniano non ha rivali al mondo.

Torna a Pesaro L’Italiana in Algeri, a bilanciare con la leggerezza della gioiosa follia l’epopea del Tell. L’opera è stata scelta perché ha consentito di riunire interpreti che nelle ultime edizioni del Rossini Opera Festival hanno conseguito l’en plein di consensi di pubblico e critica. A cominciare dal team creativo, formato dal regista Davide Livermore, dallo scenografo Nicolas Bovey e dal costumista Gianluca Falaschi (recente vincitore del Premio Abbiati per i fantasmagorici e bellissimi costumi del Ciro), lo stesso team che l’anno scorso ha firmato il Ciro in Babilonia trasmesso in diretta dalle televisioni di mezzo mondo, giudicato uno dei migliori spettacoli della storia del Festival. Quest’anno i tre amici ritentano la giocata puntando su uno spettacolo mozzafiato ispirato alla commedia americana del cinema d’autore degli anni sessanta, nella fattispecie strizzando l’occhio all’indimenticabile The party di Blake Edwards. Nel difficile compito di trasformare la grevità dell’assunto nel raffinato divertimento iperrealistico che propone la musica, saranno affiancati da un gruppo di rilevanti talenti, capitanati dalla fresca e bella Isabella di Anna Goryachova (l’anno scorso rivelatasi nella Matilde di Shabran con una sorprendente interpretazione dell’ingrato ruolo di Edoardo) e dal suo spasimante Mustafà (Alex Esposito, un beniamino assoluto del pubblico pesarese). Grande attesa anche per il Lindoro di Yijie Shi, il tenore cinese che canta e fraseggia nel segno della più alta tradizione italiana; per il Taddeo di Mario Cassi, Figaro applauditissimo nell’ultima edizione concertante del Barbiere di Siviglia; e per l’Haly di Davide Luciano, la Zulma di Raffaella Lupinacci, l’Elvira di Mariangela Sicilia, distintisi nell’ultima tornata dell’Accademia Rossiniana.

L’Orchestra e il Coro di Bologna saranno diretti da José Ramón Encinar, per la prima volta a Pesaro. Il Maestro Encinar, colto e apprezzato compositore formatosi in Italia alla scuola di Franco Donatoni (una sua opera lirica, rappresentata per la prima volta a Madrid nel 1988, si intitola Figaro), stimato fra i migliori interpreti del repertorio contemporaneo, assicurerà una lettura intelligente della lucida partitura rossiniana.

L’allestimento dell’Occasione fa il ladro è il più antico fra quelli in circolazione al Rof. Deve la sua longevità all’ispirata regia di Jean-Pierre Ponnelle, ultima fatica a pochi mesi dalla prematura scomparsa, nel 1988, a soli 46 anni. Lo rimette in scena Sonja Frisell, apprezzata regista e diretta sua collaboratrice in quest’opera, e lo dirige una giovane musicista cinese, Yi-Chen Lin, che aveva conquistato orchestra e pubblico quando guidava i coetanei ragazzi dell’Accademia Rossiniana, nel Viaggio a Reims conclusivo dei corsi del 2011. Dall’Accademia provengono ancora, meritatamente promossi, Elena Tsallagova, intensa Amenaide nel Tancredi della scorsa stagione, Enea Scala, incisivo Mambre nell’ultimo Mosè in Egitto, Paolo Bordogna, ormai intronizzato fra i grandi buffi rossiniani, Viktoria Yarovaya, Siveno nel Demetrio e Polibio del 2010 e Giorgio Misseri, Egoldo nella Matilde di Shabran dello scorso anno. Il veterano Roberto De Candia completa un cast che appare difficilmente migliorabile. In quest’opera, come nel tradizionale Viaggio a Reims che premierà i laureati della prossima Accademia Rossiniana, suonerà l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, da anni apprezzata presenza al Festival.

Proseguirà l’integrale dei Péchés de vieillesse, giunta alla sua quinta tornata, in collaborazione con l’Ente Concerti di Pesaro, l’Accademia pianistica napoletana e la Fondazione Rossini.

Nella sezione dedicata alla Rossinimania, un concerto del chitarrista pesarese Eugenio Della Chiara farà conoscere, oltre a musiche originali di Paganini, sei nuove composizioni, centrate su spunti rossiniani, di autori italiani delle ultime generazioni. I consueti Concerti di Belcanto sono stati perfidamente selezionati per accendere una sanguinosa contesa divistica fra tenori di livello superiore, contesa che si muterà in giubilo al concerto verdiano di Marina Rebeka, omaggio del Rof al Maestro che a Rossini dedicò, nell’occasione della sua scomparsa, un Libera me domine destinato a diventare una pagina capitale del suo Requiem. Il programma sarà accompagnato dall’Orchestra Sinfonica G. Rossini diretta da Daniele Agiman.

Il Festival si concluderà con un’esecuzione in forma di concerto di una delle più affascinanti opere “napoletane” di Rossini, La donna del lago, come da tradizione ritrasmessa simultaneamente nella piazza maggiore della città. La dirigerà il patriarca Alberto Zedda, che compenserà la sua vetustà promuovendo un castdi interpreti giovani e giovanissimi, taluni debuttanti in ruoli leggendari, come l’Elena di Carmen Romeu, il Malcom di Chiara Amarù, l’Uberto di Dmitry Korchak, il Rodrigo di Michael Spyres, il Duglas di Simone Alberghini, l’Albina di Mariangela Sicilia, il Serano di Alessandro Luciano.

Una programmazione che sfida crisi e scoraggiamento: prosit.

   Alberto Zedda, direttore artistico del ROF

© Zedda-Vázquez