Pressbook ROF 2005

La pubblicazione dell’Edizione critica del Barbiere di Siviglia (Ricordi 1969) segnò una svolta nell’ermeneutica rossiniana. L’approfondimento filologico, l’attenzione ai valori strutturali, la comprensione di specificità tecniche e interpretative ineludibili hanno consentito di riscoprire la grandezza del discorso musicale e teatrale di Gioachino Rossini, autore offuscato da una tradizione che, specie per l’opera buffa, l’aveva confinato a facile confezionatore di piacevoli melodie vocali e colorite pulsioni ritmiche, richiamanti gli ingredienti di una sua decantata quanto immaginaria gastronomia.

La coincidenza che l’operazione filologica sia partita dalla sua opera universalmente conosciuta ha reso evidente il contrasto fra la vecchia pratica di considerare Rossini il geniale epigono di un teatro musicale arrestatosi alle soglie della rivoluzione romantico-popolare e la nuova consapevolezza di trovarsi dinanzi a un autore originalissimo guidato da motivazioni estetiche riconoscibili in un panorama culturale contemporaneo assai meglio che in quello seguito all’implosione del barocco.

Fu subito chiaro che la decodificazione del messaggio musicale non poteva prescindere dalla morfologia di un linguaggio fondato sulla sublimazione di un virtuosismo vocale acrobatico, capace di trasformare in emozioni e immagini i geroglifici di una scrittura tecnicamente complessa; fu altrettanto evidente che la restituzione del messaggio teatrale, privato delle sollecitazioni di melodie significanti, in grado di generare chiaroscuri psicologici, non poteva esaurirsi nella ricerca di situazioni reali e concrete.

Interpreti e registi dovettero fare i conti con la presenza costante e imponderabile di elementi che complicavano all’infinito il rapporto fra realtà e astrazione, fra verità e finzione, fra sacro e profano: ambiguità, follia, gioco, ironia, convenzione, mestiere, cinismo…

Nel caso specifico del Barbiere di Siviglia, comporre in equilibrio elementi tanto discordanti per realizzare uno spettacolo coerente, rispettoso di valori musicali assoluti, risulta ulteriormente complicato dalla presenza di un testo letterario, che anziché limitarsi a fornire una semplice traccia di vicende che toccherà al compositore caricare di senso e finalità, costruisce un meccanismo teatrale inappuntabile animato da personaggi veri che rimandano inequivocabilmente alla commedia di carattere, a dispetto di contenuti musicali che più volte si avventurano nel campo della pura astrazione giocosa.

Sarà Luca Ronconi a raccogliere la sfida, rifacendosi a una lontana esperienza parigina che stupì per l’ardita novità, ma che tanti anni dopo potrebbe rivelarsi una delle tante profetiche preveggenze vincenti di cui ha costellato la sua carriera di artista. Lo aiuterà un cast ricco di giovani affermatissimi ed entusiasti, con Juan Diego Flórez, Bruno de Simone, Joyce Di Donato, Dalibor Jenis, Natale De Carolis, Bruno Taddia, Rossella Bevacqua e Vittorio Prato, guidati da un direttore, Daniele Gatti, ormai compreso nella ristretta pattuglia dei grandi.

Il discorso drammaturgico, importante per comprendere la profondità e la novità del legato rossiniano, non ha ancora trovato le certezze che hanno stabilizzato il consenso sugli aspetti musicali della sua produzione operistica. Per questo il ROF si preoccupa di articolarlo in modo vario e libero da pregiudizi.

All’astrazione fantastica di Luca Ronconi, coadiuvato dalla scenografia di Gae Aulenti, contrappone il realismo poetico di Jean-Louis Martinoty e di Hans Schavernoch che riporteranno a Pesaro una delle opere più sfuggenti e conturbanti di Rossini, Bianca e Falliero, che il pubblico conobbe nell’interpretazione dei protagonisti storici della Rossini-renaissance (Horne, Ricciarelli, Merritt…) e che oggi trova artisti capaci di sfidarne la leggenda in Daniela Barcellona, María Bayo, Ornella Bonomelli, Dario Benini, Carlo Lepore, Francesco Meli. Dirige Renato Palumbo, di casa al ROF e sempre più conteso nei teatri del mondo.

Dario Fo, il regista che meglio ha saputo cogliere la “folie organisée” di Rossini, ripropone La gazzetta, con la collaborazione scenografica di Francesco Calcagnini, uno spettacolo divertito e leggero dove si celebra la bellezza muliebre e la positività dell’amore semplice in storie disimpegnate vibranti di “joie de vivre”. Dirige Antonello Allemandi, gradito ritorno a Pesaro, che avrà la collaborazione di rossiniani doc quali Manuela Custer, Cinzia Forte, Francesca Provvisionato, Bruno Praticò, Lorenzo Regazzo, Paolo Bordogna, Andrea Porta e José Manuel Zapata, disposti a cantare nelle situazioni critiche pretese dall’esuberante regista.

Continuando l’esplorazione del panorama musicale intorno a Rossini, viene allestita la farsa Arrighetto di Carlo Coccia, all’epoca presentata più volte in coppia con le celebri consorelle rossiniane, con la regia di Rosetta Cucchi, debuttante a Pesaro in questa veste, la concertazione di Lanfranco Marcelletti, che diresse con particolare successo Il viaggio a Reims dello scorso anno, e un cast di giovani provenienti in gran parte dall’Accademia Rossiniana pesarese.

L’Accademia Rossiniana continuerà il prezioso compito di formazione e orientamento professionale di talenti interessati al belcanto, una categoria un tempo rara che oggi sta ingrossando in misura insospettabile le fila degli interpreti rossiniani. Alla fine del corso, come di consueto, gli elementi migliori ricopriranno i difficili ruoli de Il viaggio a Reims, ancora presentato nella fortunata produzione di Emilio Sagi.

Fanno contorno al festival operistico: Concerti di Belcanto affidati a Joyce Di Donato, Bruno Praticò e Bruno de Simone (che confronto da scintille!), María Bayo; un Concerto d’organo che segnala lo scantonamento ecclesiale della Rossinimania; il rituale, emblematico Stabat Mater diretto da Alberto Zedda e cantato da Elizaveta Martirosyan, Marianna Pizzolato, Francesco Meli, Mirco Palazzi.

Il Rossini Opera Festival canterà anche quest’anno con le prestigiose compagini strumentali e vocali che assicurano qualità: l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e l’Orquesta Sinfónica de Galicia, l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, il Coro da Camera di Praga.

     Alberto Zedda, direttore artistico del ROF

© Zedda-Vázquez