Pressbook ROF 2001

Quella di Gianfranco Mariotti di richiamarmi a Pesaro come Direttore Artistico del ROF  e la mia di accogliere il suo invito a riannodare un rapporto dialettico stimolante e vivacissimo non sono state decisioni scontate. Ci ha sfiorato il timore che questo ritorno potesse apparire la pura e semplice riconferma di una linea programmatica fedelmente perseguita dal ROF nei ventidue anni di esistenza, non disgiunto dal convincimento  che qualunque ipotesi di cambiamento, qualunque esigenza di novità dovrà comunque tenere in conto la ragione prima dell’esistenza e del successo del Festival pesarese: la musica e la personalità di Gioachino Rossini.

Oggi Rossini è eseguito, studiato e valutato ben diversamente di vent’anni fa: soprattutto come autore di melodrammi tragici, che molti ritengono più importante del geniale creatore dell’opera comica moderna;  ma nella programmazione dei teatri lirici questa presa di coscienza non si è tradotta in una presenza adeguata dei titoli drammatici, ancora largamente minoritari rispetto a quelli giocosi.

Il Belcantismo è tornato a essere moneta corrente. Rimane tuttavia una palpabile separatezza fra il firmamento “specialistico” del belcantista e quello degli interpreti del repertorio romantico e verista, una separatezza che a mio modo di vedere è responsabile della crisi che investe l’opera della tradizione tardo ottocentesca: la cultura belcantistica ha aggiunto eleganza e precisione a una vocalità spesso rozza e priva di sfumature, ma ha talvolta reso anemico e pallido il canto pieno e appassionato dell’interprete romantico.

Da riflessioni come queste conseguono linee programmatiche che vorrei sviluppare come direttore artistico del ROF:

  • perseguire un ulteriore approfondimento del Rossini “serio” chiamando a interpretarlo anche artisti che cantano abitualmente repertori diversi. Il teatro di Rossini, specie quello di matrice drammatica, ha bisogno di interpreti che possiedono voce di ampio spettro, buona  tecnica, fantasia e espressione autentiche, più che di specialisti arroccati nell’acrobatismo funambolico;
  • allargare il discorso ai musicisti che hanno diviso con Rossini i cartelloni lirici del tempo, per capire il debito da lui contratto con la cultura in auge e, per contro,  in quale misura  l’abbia influenzata col suo ingegno. Situare l’opera di Rossini in un contesto articolato aiuterà a trarla dall’isolamento che, sotto specie di reverente rispetto, la mantiene lontano da quell’attualità quotidiana che l’assonanza coi temi della contemporaneità gli meritano.

La donna del lago è la gemma più splendente della collana di capolavori composti da Rossini a Napoli, influenzato dalla personalità di Isabella Colbran e dal cosmopolitismo di una cultura aperta a ogni tendenza. Luca Ronconi e Margherita Palli ne propongono  una lettura fantastica, dove la tenebrosa lontananza del mito ossianico propizia il miraggio del sogno:  diversa dal realismo poetico dell’indimenticata edizione di Gae Aulenti, diretta da Maurizio Pollini, il primo colpo d’ala del giovane ROF. Guidati da Ronconi e da Daniele Gatti, Mariella Devia e Juan Diego Flórez , insieme a Daniela Barcellona che torna a Pesaro sull’onda del clamoroso successo del Tancredi del 1999, daranno voce al turbamento di un triangolo ambiguo e inquietante, che risponde alle emozioni dell’invenzione musicale  suscitando il dubbio che gli esiti della vicenda siano altri da quelli suggeriti dall’autore del libretto.

La gazzetta è il titolo-novità del Festival di quest’anno, presentata in una edizione critica che riserva gustose sorprese rispetto al testo utilizzato nella rare riproposizioni di quest’opera, l’ultima di soggetto comico composta da Rossini prima del suo trasferimento a Parigi. L’opera è stata giudicata con sufficienza perché Rossini vi ha introdotto molte pagine utilizzate in altri lavori, ma oggi possiamo tranquillamente accettare questa straordinaria proprietà del cinismo o della grandezza rossiniani senza temere che influisca negativamente sui risultati artistici. Se mai, potrà risultare difficile conciliare l’aristocratica levità della musica con un testo letterario che si e` discostato dalla matrice goldoniana del soggetto per far posto a gesti e atteggiamenti consoni alla Commedia dell’Arte. Maurizio Barbacini, direttore ricercato all’estero, buon cantante, ottimo correpetitor, (dunque profondo conoscitore della vocalità teatrale), debuttante a Pesaro, dovrà tener testa all’inventiva felicemente folle (dunque rossiniana) del  vulcanico Dario Fo. Lo affiancheranno giovani interpreti che hanno scalato le classifiche, alcuni di casa al ROF, come l’ineffabile Bruno Praticò, Pietro Spagnoli, Antonino Siragusa, Laura Polverelli, e autentiche sorprese, come Stefania Bonfadelli e Marisa Martins, di estrazione non specificamente rossiniana, dotate di una personalità coinvolgente.

La scelta di dar forma scenica a una importante Cantata, Le nozze di Teti e Peleo, reinventando una festa musicale simile a quella montata a Napoli nell’occasione celebrativa che ha dato luogo alla composizione, è stata propiziata dalla necessità di trovare un luogo alternativo al Teatro Rossini, chiuso per restauri. Con la collaborazione di Philip Gossett si è accresciuto il testo originale introducendovi un’altra cantata napoletana per i Borbone, Giunone, e arie poco note da opere, inserite alla maniera dei pastiches in uso al tempo. L’operazione non poteva essere confidata che a Pier Luigi Pizzi, senza rivali nel coniugare l’edonismo barocco dell’occhio col divertimento aristocratico di personaggi che, secondo l’inventiva  registica, faranno il verso al virtuosismo vocale. Giove, Giunone, Cerere, divinità incarnate da autentici “divi” del Belcanto (Rockwell Blake, Ewa Podles,  Patrizia Ciofi – queste ultime finalmente a Pesaro-) rosi dall’invidia per i gorgheggi dei novelli sposi che dovrebbero onorare con la loro presenza (Cinzia Forte e Juan José Lopera), prenderanno a gareggiare con loro in una tenzone all’ultima prodezza. Li dirigerà un altro animatore del palcoscenico lirico, Giuliano Carella, già noto ai frequentatori del ROF per uno splendido concerto con Mariella Devia.

Un significativo sviluppo avrà, a partire da quest’anno, lo spazio riservato ai giovani talenti, cantanti, direttori e registi. Le esperienze didattiche dell’Accademia Rossiniana,  avranno un seguito nella rappresentazione de Il viaggio a Reims, la cui articolazione frammentata consente di presentare ruoli insolitamente numerosi, riducendo al tempo stesso la responsabilità dei singoli interpreti. L’ Accademia aggiungerà alle  materie consuete, teoriche e pratiche, anche la gestualità dell’arte scenica, affidata quest’anno alla competenza e alla passione di Emilio Sagi. Agli spettacoli prenderanno parte, oltre ai migliori elementi del corso, anche di anni precedenti, giovani che il ROF intende presentare e valorizzare in vista di futuri inserimenti nella sua programmazione. Saranno diretti da un giovane segnalatosi ai corsi di direzione d’orchestra dell’Accademia Chigiana di Siena, dove ha diretto La Cenerentola, Antonino Fogliani.

Nuova è la decisione di presentare ogni anno opere di autori contemporanei di Rossini in qualche modo legati alla sua storia. Per il primo triennio si è deciso di esplorare il firmamento della Farsa, genere di spettacolo popolare che ha fornito a Rossini le prime occasioni di affermarsi e di elaborare il suo rivoluzionario codice espressivo. Di Giovanni Pacini verrà allestita La poetessa idrofoba, ossia Dalla beffa il disinganno, una pungente replica del librettista Angelo Anelli a un pamphlet che Vincenzo Monti (satireggiato sotto le spoglie della protagonista) aveva scritto contro di lui propio a Pesaro, in casa del conte Perticari, di cui aveva sposato la sorella. Nel Testo musicale sorprende la prontezza con cui il ventenne Pacini ha saputo metabolizzare il nuovissimo vocabolario forgiato dal quasi coetaneo Gioachino. Di Stefano Pavesi, prolifico e rispettabile compositore, in più occasioni contrapposto direttamente a Rossini, viene presentato Un avvertimento ai gelosi. Le farse prescelte si alternavano, a volte nello stesso teatro, con quelle rossiniano che ben conoscono i frequentatori del ROF e hanno avuto all’epoca una circuitazione di tutto rispetto. Il genere della Farsa primottocentesca ha esaurito la meteorica traiettoria nel breve volgere di vent’anni, ma ha lasciato una quantità notevole di testi: presentarne un paio all’anno consentirà di avere un’idea meno vaga di questo tipo di spettacolo, che, perpetrando le fortune dell’Intermezzo buffo, ha propiziato la nascita dell’opera comica. Come d’uso al tempo, gli interpreti delle due farse sono gli stessi. A Pesaro debutteranno giovani di ormai solida reputazione, Marco Vinco, Alessandro Codeluppi, Rosita Frisani, e Tiziana Fabbricini, la emotiva Traviata di Riccardo Muti, guidati dal regista Stefano Monti e dal direttore Roberto Rizzi Brignoli.

Non mancheranno qualificate manifestazioni di contorno: dal celeberrimo Stabat Mater (con Ermonela Jaho, Daniella Barcellona, Juan Diego Florez, Ildar Abdrazakov, diretti da Riccardo Frizza) – che, insieme con Il viaggio a Reims vorremmo diventasse un lei-motiv del Festival – alle Serenate che a Novilara propizieranno la scoperta di un delizioso luogo archeologico e di antiche tradizioni culinarie; dai Concerti di Belcanto riservati ai Divi in grado di alimentare l’interesse e l’amore per questa componente essenziale della vocalità rossiniana, agli Incontri con i musicologi coinvolti nell’elaborazione dei testi critici, che preparano alla scoperta e alla comprensione degli spettacoli.

L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il Coro da Camera di Praga, ospiti storici del ROF, continueranno a offrire la loro alta professionalità. A loro si aggiunge l’Orchestra Giovanile dell’Accademia Angelo Mariani, una formazione di giovani europei collegata a un progetto di studio e perfezionamento che ben si attaglia alla nuova attività che prende il via a Pesaro. 

Alberto Zedda, direttore artistico del ROF     

© Zedda-Vázquez